Quando i processi psichici e biologici si svolgono in maniera integrata generano un sentimento, un tono psichico di benessere; se per qualche ragione avviene un’alterazione di questo stato psico-fisico, come una malattia o un conflitto psicologico, la persona si trova a dover affrontare una situazione di tensione che modifica il suo stato di base. Una tendenza fondamentale dello sviluppo è rappresentata dal bisogno di mantenere e di ristabilire una condizione associata ad un funzionamento armonico e ben integrato di tutti gli apparati e le funzioni del Sé, da cui deriva l’acquisizione di un sentimento di base di benessere e di sicurezza. La tensione genera sentimenti spiacevoli, anche se per opera delle difese psichiche, può succedere che l’individuo non sia del tutto consapevole dello stato emotivo spiacevole che lo riguarda. Il dolore che nasce dalla discrepanza tra lo stato desiderato di benessere e la percezione di uno stato di malattia, a qualsiasi livello, è molto spesso all’origine di una risposta affettiva di tipo depressivo, in cui i sentimenti principali possono essere quelli di impotenza, di disperazione o di rassegnazione, quando la persona sente di non essere in grado di ripristinare la condizione precedente di relativo benessere. Ciò vuol dire che l’immagine desiderata del Sé non è confermata dalla percezione che deriva dalle fonti esterne e che quindi esiste una discrepanza tra lo stato ideale e la situazione esistente nella sua realtà. Quando ci si riferisce ad uno stato ideale dobbiamo intenderlo come uno stato di benessere, che fondamentalmente è uno stato affettivo che si raggiunge quando le strutture biologiche e psichiche della persona funzionano in maniera armonica e corrispondentemente alle necessità dell’individuo e che si collega in maniera stretta con i sentimenti di salute e di sicurezza, in opposizione ai sentimenti di dolore, di angoscia e di disagio.
La normale risposta al dolore è l’aggressività contro qualunque cosa rappresenti la fonte del turbamento. L’incapacità di difendersi contro il dolore e di scaricare adeguatamente l’aggressività può essere seguita da una risposta depressiva di base. Ci sono altre risposte possibili al dolore, tra le quali è molto importante l’individuazione, intesa come quel processo che porta ad una rielaborazione dell’esperienza e quindi all’attivazione delle risorse e delle funzioni di cui la persona può disporre per stabilire il miglior adattamento possibile alla situazione che è cambiata. La risposta depressiva rappresenta una capitolazione di fronte al dolore, che ha come conseguenza l’incapacità di utilizzare le strutture e le funzioni dell’Io che la persona possiede, che può essere seguita da una individuazione ma anche da altre misure difensive, come può essere anche una patologia fisica, che viene preferita al dolore psichico. Si può considerare la reazione depressiva come una “ultima risorsa” di tipo particolare, come un tentativo di adattamento alla situazione di impotenza, nella quale tutti i processi psichici e fisici sono per così dire “ovattati”. Tali reazioni depressive devono essere tenute distinte dalle forme di malattia depressiva (quali la melanconia) che derivano da processi difensivi e riparativi di natura diversa.
Nella tradizione medica il termine dolore è riferito ad un’esperienza spiacevole che riguarda il corpo. Nell’ambito di un modello psicologico il dolore riferito al corpo viene considerato come un particolare caso di dolore che si accompagna al contenuto ideativo di un danno corporeo, esistente o immaginato. Esso ha una qualità emotiva che non riguarda solo il dolore fisico, ma rappresenta un aspetto comune a tutti gli stati affettivi che comportano uno stato di sofferenza. Nell’esperienza del dolore fisico, i cui sentimenti spiacevoli sono collegati all’idea di un danno fisico, il dolore è conseguente ad una discrepanza ideativa tra l’immagine che l’individuo ha del proprio corpo danneggiato, da una parte, e la rappresentazione di quello che l’individuo considera come un corpo intatto, ben funzionante, desiderato, dall’altra. Si viene a stabilire un conflitto fra l’immagine attuale del proprio corpo e l’immagine ideale, quella desiderata, del proprio corpo. La rappresentazione del Sé ha una connotazione più ampia di quello di schema corporeo e include anche le rappresentazioni della persona in quanto essere psicologico e sociale, oltre che includere le immagini del suo essere fisico.
La discrepanza fra la rappresentazione attuale (quella percepita, sia nella realtà che attraverso la distorsione operata dalle proprie fantasie) e la rappresentazione ideale del Sé si accompagna ad uno stato doloroso tanto maggiore quanto maggiore sarà la discrepanza fra le due rappresentazioni. La risposta che la persona è in grado di opporre allo stato di dolore determinerà l’esito dei successivi sviluppi. Uno dei modi è rappresentato dall’elaborazione di ideali meno distonici rispetto alla realtà, che implica l’adattamento e quindi l’assimilazione dentro il proprio Sé di forme ideali più appropriate e corrispondenti alla mutata situazione dell’individuo. Un secondo modo per ridurre la discrepanza è costituito dalla modificazione ideazionale, attuata mediante l’uso delle difese psicologiche, che porta ad alterare in maniera non realistica la rappresentazione attuale del Sé, in modo tale da non comprendere in essa la rappresentazione fonte di dolore (per esempio mediante la negazione dello stato di malattia o di sofferenza a carico del corpo). Un altro modo ancora conduce allo sviluppo del dolore fisico di origine psicogena, che costituisce un mezzo per spostare la dolorosa discrepanza psicologica fra le rappresentazioni del Sé verso la rappresentazione di un danno a carico del corpo o dei tessuti. A prima vista sembrerebbe che l’individuo non ricavi alcun vantaggio nel sostituire una forma di dolore ad un’altra, anche perché il dolore fisico sembra essere più intenso e concreto. Tuttavia si può osservare come tali spostamenti dalla sfera psichica a quella fisica produce in certe persone un reale sollievo, soprattutto negli individui che tollerano meglio il dolore fisico, per quanto possa essere doloroso, rispetto al dolore psichico. Per queste persone è più facile accettare che esista una discrepanza nella rappresentazione del corpo centrata sull’idea di un danno fisico, specie in quei pazienti che possono vivere la discrepanza psicologica fra le rappresentazioni del Sé sviluppando sentimenti di vergogna e di umiliazione. In esse il dolore fisico è preferibile e più tollerato rispetto al dolore psicologico e l’autostima della persona può essere preservata dall’idea che la capacità di funzionare bene in tutti i campi è compromessa soltanto dai propri disturbi fisici; in modo analogo possono essere diminuiti considerevolmente il senso di colpa e la responsabilità per un insuccesso e così via. Sono molti i fattori che spingono a scegliere un danno a carico del corpo piuttosto che quello a carico delle funzioni psicologiche. Tra questi ci si può limitare a ricordare l’identificazione con altri membri della famiglia, talvolta essi stessi malati fisicamente, il desiderio inconscio di essere puniti, la gratificazione masochistica nello sperimentare il dolore fisico e inconsci tentativi di espiazione, Si possono riscontrare anche forme di vantaggio secondario della malattia, consistenti nel sentirsi dei martiri, nello scaricare impulsi ostili, in forma mascherata e indiretta, verso parenti o medici, nella pretesa di ottenere un risarcimento, reale o simbolico, alla propria condizione, nello sfruttare i vantaggi dell’essere curato in ospedale ecc. La situazione che si può osservare in questi pazienti è che non hanno raggiunto una soluzione stabile intesa a ridurre lo stato di dolore psichico e che se questa difesa fallisce l’individuo può produrre una risposta depressiva. Non si può sostenere che il dolore psicogeno rappresenti una difesa contro la depressione (come in certe tossicomanie o in certe perversioni), tuttavia se la difesa dal dolore non regge si può instaurare una risposta depressiva.