PATOLOGIE SITUAZIONALI NELLA REGOLAZIONE DELLA STIMA

La regolazione della stima e le patologie situazionali che emergono durante lo sviluppo dell’analisi è un argomento caro al dott. Luciano Rizzi. Il contributo che leggerete nasce da una raccolta di scritti datati 2011.

 Patologie situazionali nella regolazione della stima

Attualmente si possono individuare in maniera sempre più precisa particolari stati psico – patologici caratterizzati in maniera vistosa da degli apparentemente immotivati ed improvvisi attacchi di panico, associati a gravi stati ansiosi, che si osservano in persone che mostrano un particolare disagio nello stabilire relazioni di valore e durature. Si tratta di manifestazioni che sono state racchiuse nella vasta categoria delle fobie per la loro relazione con un oggetto o una situazione fobica.

Mentre nelle fobie estrusive viene mantenuta una relazione con l’oggetto fobico col fine di tenere a bada un conflitto innescato da un desiderio inconscio, le fobie intrusive sono situazionali in quanto l’ansietà è suscitata dalla situazione che deve essere evitata. Se nelle prime viene mantenuto il rapporto con l’oggetto fobico, nelle seconde l’aspetto più importante è rappresentato dal bisogno della persona di non entrare in contatto con la situazione che determina lo stato ansioso.

Qualche studioso ritiene che mantenere questa differenziazione non abbia poi, sul piano clinico, un grande valore e che anche le fobie intrusive possano essere fatte rientrare tra quelle estrusive. Dal mio punto di vista manterrei questa distinzione in quanto l’eziopatogenesi e, di conseguenza, anche la prognosi è del tutto diversa. Se nelle fobie estrusive viene mantenuto un rapporto con l’oggetto, all’interno di un quadro di riferimenti affettivi stabili e si può affermare che il paziente abbia raggiunto la costanza d’oggetto, nelle fobie situazionali la patologia riguarda una sofferenza dovuta alle difficoltà che hanno certe persone a strutturare le proprie relazioni sulla base dell’interiorizzazione di oggetti benevoli e rassicuranti.

Nel corso di questo lavoro vorrei dimostrare come le fobie intrusive possano, in qualche caso, essere considerate come l’espressione di una difficoltà nella regolazione di una rappresentazione di valore del Sé e degli affetti associati, per cui questi pazienti possiedono un ventaglio di relazioni, dalle quali dipendono per sostenere la propria stima, senza che tuttavia nessuna di queste venga eletta e divenga per essi un riferimento positivo, essendo ciò impedito da una distorsione nell’interiorizzazione di rappresentazioni d’oggetto stabili e rassicuranti.

Considero che questo avvenga durante le prime fasi di sviluppo, in conseguenza della scarsa attenzione che viene data alle richieste di rispecchiamento del bambino da parte dell’ambiente in cui cresce. Si determina così un particolare adattamento che porta questi pazienti all’interiorizzazione di oggetti particolarmente esigenti e di una rap-presentazione del Sé estremamente svalutata, con la conseguenza che essi tendono a stabilire i rapporti con gli altri sulla base del bisogno di ricevere una conferma alla loro persona, cosicché non essendosi consolidata come funzione autonoma, la loro stima è legata all’approvazione che riescono a ricevere dall’ambiente esterno, mediante la conformità ai modelli proposti.

La loro organizzazione psichica è incentrata sul bisogno assoluto di aderire alle norme esterne, non perché ne condividano il valore e costituiscano pertanto la parte sedimentata di un processo di interiorizzazione, ma perché spinti dalla necessità di conseguire la ratifica al proprio comportamento e a sentirlo legittimato.

Il precario equilibrio di questi pazienti viene minacciato allorché non ottengono il consenso di cui hanno bisogno e temono di essere sopraffatti e resi impotenti dall’incapacità di mantenere sotto controllo le persone e le situazioni dalle quali dipende il riconoscimento di valore di loro stesse.

Quando possono iniziare una terapia (il fattore scatenante è in genere una tappa evolutiva che non sono riusciti ad affrontare) lo fanno perché spinte dalla necessità di ripristinare lo stato in cui una figura esterna alimenta la scarsa considerazione che hanno di sé stesse, fornendogli il contesto nel quale possono ottenere la conferma di non essere indegne degli oggetti da cui dipendono.

Nel corso dell’analisi con questi pazienti la cosa che colpisce immediatamente, a dispetto dell’integrità delle funzioni normali dell’Io, è un profondo disorientamento che accusano quando si trovano a dover fare riferimento esclusivamente a sé stesse, quando viene richiesto loro di assumere posizioni autonome e di difenderle dagli altri.

Se per un verso si tratta di persone normalmente ben integrate nel contesto del lavoro, spesso con compiti di responsabilità, che hanno una discreta rete di relazioni sociali, quantunque affettivamente povere, dall’altro si può osservare una straordinaria adesione alle idee degli altri e all’utilizzo del gruppo come base e scheletro per la propria compromessa identità.

Laddove si cimentano, anche quando hanno un discreto successo, non lo ritengono frutto del proprio impegno e della propria capacità, ma lo considerano il risultato di circostanze fortunate, legate alle capacità che si attribuiscono di riuscire a mantenere sotto controllo tutti i parametri degli eventi,non riuscendo in nessun modo a rifornire la propria scarsa stima. Queste persone si sentono sempre appese ad un esile filo e temono di precipitare da un momento all’altro.

Di fianco ad una immagine così disprezzata emerge, di tanto in tanto, una rappresentazione onnipotente di sé, al di sopra di tutti, grandiosa e in grado di riuscire meglio di tutti, che costituisce l’altra faccia del Sé, l’idealizzazione difensiva di non aver bisogno di nessuno. Un mio paziente descriveva questi aspetti di sé sognando di camminare nudo in mezzo alla folla senza creare nessun scandalo. Poteva, trionfante, mostrare i suoi attributi.

Non avendo un sistema interno di regolazione della propria stima, questa dipende in maniera assoluta dalla valutazione che gli altri daranno del loro comportamento, per cui essi si sentono costretti a essere continuamente attivi, a fare sempre di più senza potersi fermare per il timore che quello che fanno non basti a chi,eletto come riferimento normativo, diventa l’arbitro severo del loro stesso destino.

L’immagine di Sé che questi pazienti descrivono è la rappresentazione martoriata di una persona che contiene tante “schifezze”, di un nucleo interno così brutto e inavvicinabile che non può essere in nessun modo compreso e condiviso da alcuno. Ciò che sentono rimanga loro da fare è di camminare con estrema perizia in un mondo che per essi è come un campo minato, dove ad ogni passo c’è il rischio di saltare per aria e di disgregarsi.

Lo stato di panico diventa comprensibile se considerato alla luce del terrore che queste persone hanno del disprezzo che può arrivare a loro dalle figure esterne dalle quali dipendono per il proprio rifornimento divalore e di cui hanno bisogno per ottenere dei segnali di coerenza e approvazione alla propria immagine del Sé.

Gli “altri” costituiscono i punti di riferimento attorno a cui queste persone localizzano la loro stessa presenza e senza i quali sentono “dispersa” la loro stessa identità.

Nel contempo queste stesse figure sono intercambiabili e con nessuna di esse riescono a strutturare un rapporto stabile e di fiducia. Sembra che questi soggetti debbano avere un ricambio sempre pronto, da utilizzare quando uno non è disponibile, in modo da non sentirsi mai scoperti.

Le figure di investimento precedenti, in quanto deludenti, danno ad esse una conferma di disvalore e vengono abbandonate senza lasciare alcuna traccia da poter recuperare ed utilizzare quali riferimenti di valore per l’individuo. La sensazione che rimane è che questi oggetti di investimento acquistino importanza nel momento e solo nel momento in cui sono figure utilizzabili, dopodiché su di esse cala il sipario.

Lo scenario dell’azione precedente scompare e viene sostituito da uno nuovo, ed essi si trovano a dover dar vita a una nuova parte, rivivendo nuovamente le stesse angosce di sempre.

Approfondisci l’intero documento “Patologie situazionali nella regolazione della stima“.

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