LO SVILUPPO DEL SENSO MORALE E L’AFFETTIVITÀ

Ciascun individuo vive all’interno di un ambiente fenomenico che, per ciascuno, è un poco diverso e in un certo senso personale, che non può essere considerato identico all’ambiente fisico, ma che rispetto ad esso presenta numerose differenze.

Definiamo l’ambiente percettivo quello in cui gli oggetti o gli eventi sono presenti, in un momento dato di fronte a noi con la loro forma, il loro colore, la loro diversa disposizione spaziale, le loro qualità espressive, ecc. ecc. Tale ambiente può, rispetto all’ambiente fisico, avere notevoli discrepanze e certi aspetti o qualità presenti nell’ambiente fisico non sono percepiti (per esempio la struttura molecolare di cui è costituito un pezzo di ferro non viene percepita). Per contro nell’ambiente percettivo possono essere presenti certi aspetti che non trovano riscontro nella realtà fisica. Un esempio di deformazione percettiva può essere il seguente:

due rettangoli regolari, uno blu e uno bianco sovrapposti. Quando separiamo le figure una solo è formata da un rettangolo regolare. [Scarica il documento completo con le immagini qui riportate]

Tra gli stessi individui esistono delle discrepanze fra ciò che viene percepito, per cui uno stesso oggetto per una persona possiede certe proprietà funzionali, mentre per un’altra può presentarne delle altre.

L’ambiente fenomenico include non solo i dati di ordine percettivo, ma anche quelli di ordine rappresentativo, cioè quelli che derivano non dagli oggetti e dagli eventi che noi sperimentiamo in quanto presenti nell’hic et nunc, ma anche di quelli di cui conosciamo l’esistenza anche se non hanno un carattere percettivo in quanto oggetti ed eventi che si svolgono in un luogo diverso da quello in cui ci troviamo, o che hanno avuto esistenza nel passato o avranno esistenza nel futuro, oppure che si collocano ad un livello subpercettivo (per es. le molecole) o hanno un carattere astratto (per es. la nozione di logaritmo).

Tale ambiente lo definiamo ambiente cognitivo ed è incommensurabil-mente più esteso dell’ambiente percettivo ed anche in questo caso tra l’ambiente fisico e quello cognitivo possono esistere delle discrepanze, basti pensare a come le nostre convinzioni circa un certo fatto possono essere erronee e come l’ambiente cognitivo di una persona possa essere profondamente diverso da quello di un’altra (certe cose di cui un individuo conosce l’esistenza possono essere del tutto ignote ad un altro).

Il nostro ambiente fenomenico dentro il quale noi viviamo ed entro il quale noi agiamo è caratterizzato da “valenze”, vale a dire che le cose, le persone, le situazioni o le attività possono per noi avere una valenza positiva (per cui allora sentiamo il desiderio di possedere un certo oggetto, di stare con una certa persona, di trovarci in una certa situazione o di svolgere una particolare attività) o, al contrario, possono avere una valenza negativa per cui le respingiamo (ci teniamo lontani da certi oggetti, non desideriamo incontrare certe persone, stiamo fuori da quelle situazioni o non intraprendiamo una certa attività).

Non va trascurato il fatto che le persone o le situazioni o gli oggetti possono anche avere una doppia valenza, insieme positiva e negativa, ovvero un’ambivalenza, per cui qualcosa di desiderato è vissuto anche con paura, per cui respinto (pensiamo al bambino che desidera accarezzare un cane ma ne ha nel contempo paura per cui si tiene ad una certa distanza da esso).

Tali valenze hanno una notevole mobilità, che in certi casi hanno un ritmo breve (un cibo che ci attrae prima del pranzo, ci respinge quando ne siamo sazi), oppure un ritmo lungo quando certe situazioni o attività assumono per noi un particolare interesse, o quando ci affezioniamo a delle persone verso le quali sviluppiamo, con una certa stabilità, un sentimento di attaccamento.

In quali casi possiamo qualificare certi rapporti come rapporti affettivi e quali ne sono le proprietà specifiche?

Quando siamo affamati e vediamo un certo cibo la situazione si caratterizza da un rapporto del tipo “valenza-tensione”, eppure noi non diciamo che a quel cibo siamo affezionati. Adoperiamo, invece, questa espressione per il luogo nel quale siamo cresciuti o per certi oggetti che possediamo, oppure per certi animali, o per certe persone che hanno per noi una valenza positiva e che in qualche modo rappresentano un prolungamento della nostra personalità, come una parte di noi stessi che se andasse perduto porterebbe con sé una certa parte di noi, delle nostre esperienze e dei nostri ricordi, la cui scomparsa verrebbe sentita come una diminuzione più o meno profonda e duratura della nostra personalità. Il bambino nasce in una naturale condizione di bisogno e per la sua stessa sussistenza ha bisogno di figure che si prendano cura di cui e ne soddisfino le naturali necessità di crescita e di sviluppo. Su queste stesse figure, dapprima in modo indistinto e via via differenziandone la presenza, il bambino impara a riconoscerle e a provare un sentimento di fiduciosa attesa che quella persona saprà proteggerla e l’aiuterà a sviluppare il suo “spazio psicologico di libero movimento”, inteso come quello spazio psicologico in cui si può sviluppare la sua individuazione come essere separato e capace.

Prendere in considerazione lo sviluppo affettivo significa, quindi, stabilire quali siano le persone, le cose o i luoghi nei cui confronti facciamo un duraturo investimento legato a questa primitiva condizione di bisogno e che contribuiscono ad ampliare il nostro spazio di libero movimento. La persona che più di ogni altra può favorire questi processi di sviluppo, ed aiutare così il bambino ad ampliare il suo spazio di libero movimento, favorendo quindi anche lo sviluppo di un rapporto affettivo, è la figura materna. Tale figura provvede innanzitutto a fornire al bambino il nutrimento fisico di cui egli ha bisogno, ma tale persona contribuisce in modo decisivo a sviluppare in lui un sentimento di sicurezza, intervenendo tutte le volte che il bambino viene a trovarsi in una situazione disagevole (fame, freddo, dolore fisico, incapacità di entrare in possesso di un certo oggetto, o di compiere su un certo oggetto una certa operazione, stato di paura davanti ad un forte rumore o all’apparizione di una persona sconosciuta, ecc.), integrando così le capacità del bambino con le proprie capacità, costituendo un prolungamento della persona del bambino, vale a dire qualcosa che è sempre a disposizione del bambino e gli rende più facile il superamento di certe difficoltà. Lo sviluppo dello spazio di libero movimento, in una situazione ottimale, si verifica nel senso di una graduale conquista dell’autonomia, e lo sviluppo affettivo si verifica nel senso del costituirsi di un sistema di rapporti affettivi sempre più complessi, che non investono più soltanto la persona della madre, ma anche quella del padre, dei fratelli o di altri eventuali membri della famiglia. In secondo luogo, lo sviluppo delle capacità motorie ed intellettuali del bambino lo pone in una condizione di maggior autonomia nei confronti degli adulti, rendendolo consapevole di essere una individualità distinta da altre individualità, di essere capace di iniziativa, di possedere una volontà propria e propri mezzi.

Con l’ingresso nella scuola primaria il bambino giunge a contatto con una realtà umana più ampia e differenziata. Accanto alle persone dei genitori vi è ora quella dell’insegnante e si crea la possibilità per lo sviluppo di un nuovo rapporto affettivo, ma è anche più facile che tale rapporto sia caratterizzato da una più marcata ambivalenza. Molto dipenderà dalla misura in cui l’insegnante saprà interpretare le naturali esigenze di ampliamento suscitando nuove esigenze, interessi e curiosità, mettendo a disposizione del bambino la propria maggior conoscenza. Con l’ingresso nella scuola primaria bisogna sottolineare che rapporti affettivi di vario tipo si stabiliscono anche fra il bambino e gli altri bambini e con i coetanei di sesso diverso, anche se in questa fase è ancora prevalente il rapporto con l’adulto.

In tutte le fasi della crescita si deve considerare come avvenga anche un concomitante sviluppo degli stati emotivi del bambino. Per emozione si deve intendere la risposta adattiva ad una situazione nuova, in genere inattesa, oppure attesa ma vissuta come una situazione alla quale non si è affatto sicuri di poter far fronte e che in certe condizioni, quando va oltre certi limiti ottimali, determina una certa disorganizzazione della condotta ed una minor capacità di comportarsi in modo adeguato ed efficace, specie quando il livello di attivazione dell’organismo supera una certa soglia. Uno stato emotivo è caratterizzato dalle modificazioni fisiologiche dovute all’azione del nostro sistema nervoso autonomo, con la funzione di accelerare il metabolismo e rendere disponibili certe risorse al fine di rendere l’organismo in condizioni di reagire più prontamente ad una situazione di emergenza. Tali modificazioni hanno un carattere adattivo a situazioni nuove ed essenzialmente sono l’aumento del diametro della pupilla, la dilatazione dei vasi sanguigni a livello dei muscoli ed una costrizione di quelli dello stomaco e dell’intestino, un aumento del ritmo e della forza del battito cardiaco, un aumento del ritmo respiratorio e la produzione di adrenalina da parte delle ghiandole surrenali, oltre che aumentare il numero dei globuli rossi e dei globuli bianchi nel sangue per favorire una maggior ossigenazione. L’emozione ha anche una concomitante sul versante dell’apparato psicologico e come tale è un evento psicologico che è alla base di un’esperienza interna.

La prima e più semplice forma di sviluppo emotivo, che possiamo osservare nei primi mesi di vita, riguarda le caratteristiche espressive dei vari stati emotivi, e cioè l’insieme di movimenti, gesti, atteggiamenti mimici, manifestazioni sonore che accompagnano i singoli stati emotivi. Sviluppo emotivo ha essenzialmente il significato di differenziazione progressiva di strutture motorie e foniche inizialmente indifferenziate. Da uno stato iniziale di eccitazione indifferenziata nel corso delle prime settimane di vita si sviluppano due diversi quadri espressivi e motori: da una parte una reazione generica di gioia (sorriso, gorgheggi, rilassamento del tono muscolare), dall’altra una reazione pure generica di sconforto (tensione muscolare, blocco del respiro, pianto).

Col procedere dello sviluppo il bambino impara a conoscere quali sono le situazioni che generalmente hanno il potere di scatenare delle reazioni emotive e a prendere coscienza di esse prima che si verifichino, aumentando la sua capacità di prevederla e quindi di padroneggiarla. Questo processo di maturazione si ha per esempio quando il comportamento motorio perde gradualmente il carattere di motricità estesa a tutto il corpo ed è orientato solo ad alcuni movimenti relativi, imparando a controllare una particolare emozione e a renderla un’esperienza prevalentemente interiore, impedendo che essa si manifesti sul piano delle azioni, scaricando la tensione in modo attenuato o differendola nel tempo.

Ci si può chiedere quali siano i fattori che concorrono allo sviluppo emozionale, se dobbiamo considerare se vi sia un concorso fra fattori ereditari ed ambientali ed in che modo interagiscono i due ordini di fattori. L’influenza dei fattori ereditari è messa in luce da parecchie ricerche compiute sia sugli animali che sull’uomo. Accanto ai fattori ereditari operano comunque anche fattori ambientali, che possono concorrere a determinare sia un’emotività generale ma transitoria (come condizioni di stanchezza o di malattia), sia uno stato di emotività più stabile come il trascorrere la propria infanzia accanto a genitori che non hanno un buon dominio emotivo o il vivere in un ambiente che non consente al bambino di sviluppare una certa capacità di sopportare le frustrazioni e di trovare un rapido adattamento alle situazioni frustranti, come può accadere in una famiglia iperprotettiva.

Non si possono trascurare i rapporti che intercorrono fra lo sviluppo emotivo da un lato, e lo sviluppo di altri aspetti della vita psichica (come quello cognitivo e quello affettivo, oltre che quello sociale e morale). Le persone alle quali il bambino si sente legato da rapporti affettivi positivi e che concorrono a sviluppare la sua personalità e gli hanno permesso di ampliare il suo spazio psicologico di libero movimento aiutandolo a risolvere le difficoltà nelle quali vi è venuto a trovare, sono le persone verso le quali il bambino può sentire una fiduciosa attesa che consente di operare con esse un’importante identificazione che è alla base dello sviluppo di stabili sentimenti di protezione e di sicurezza.

La vita sociale è in stretto rapporto con lo sviluppo di un senso morale. Il fatto che un individuo entri in contatto con gli altri e divenga elemento di un gruppo più vasto, sia che abbia dei rapporti di collaborazione o se ne senta in competizione, favorisce da parte sua l’assunzione di certe norme morali che valgono per tutti i membri del gruppo. L’esistenza di queste norme ed il rispetto per esse gli permettono di regolare il suo comportamento in situazioni sociali, laddove il proprio comportamento può avere dei riflessi sugli altri. L’esistenza di altri individui il cui comportamento interferisce con il proprio, fa sì che l’ambiente sociale e culturale che essi formano eserciti un’influenza sugli atteggiamenti, le abitudini e i modi di valutare i fatti o di reagire di fronte ad essi che sono largamente accettati in tale ambiente. La relazione che si viene a stabilire con gli altri fa sì che l’individuo possa uscire temporaneamente dal suo punto di vista e di porsi dal punto di vista in cui si trovano gli altri, giungendo così a capirli e a condividere anche i loro stati d’animo. Il termine socialità assume un significato più ampio quando viene inteso come la capacità di un individuo di stabilire, pur mantenendo una relativa indipendenza, dei rapporti di collaborazione con gli altri, di cooperare con loro per il conseguimento di un obiettivo comune. Ciò che è stato sommariamente descritto rappresenta un processo che ha inizio nel momento in cui l’adulto fa sì che il bambino assuma certe abitudini di pulizia e di ordine e gli pone dei divieti rispetto a certi comportamenti. Il bambino si uniforma a tutta una serie di comportamenti non solo per la pressione che sente esercitare su di lui, ma soprattutto in virtù della sua tendenza all’identificazione con l’adulto che si prende cura di lui. Durante i primi tre anni di vita vive una situazione che viene descritta come egocentrismo e nella quale gli altri esistono unicamente in funzione dei suoi desideri. L’inizio della socializzazione si ha dopo questo periodo, quando si ha l’ingresso alla scuola materna e il bambino deve adattare il proprio comportamento e uniformarlo alle richieste di altri adulti non familiari ed alla presenza di altri bambini della sua età, che hanno gli stessi interessi e con lo stesso diritto di fare certe cose. A questa età il bambino rimane ancora fondamentalmente egocentrico poiché la capacità di considerare il punto di vista degli altri si dispiega verso i 6/7 anni in funzione dello sviluppo di particolari strutture cognitive che implicano la reversibilità del pensiero, cioè la capacità di staccarsi dal proprio punto di vista e guardare le cose secondo una diversa prospettiva. Fra i 7 e gli 11 anni, con l’ingresso nella scuola primaria, il processo di socializzazione come adeguamento ad abitudini, convinzioni e atteggiamenti comuni assume un’ampiezza assai maggiore, in quanto diviene maggiore e più sistematica l’influenza che il mondo degli adulti esercita sul bambino. Lo sviluppo cognitivo, associato allo studio di varie discipline, comporta che il bambino si impadronisca di un insieme di conoscenze che costituiscono una parte essenziale della cultura della società in cui vive e che gli consentono, contemporaneamente, di sviluppare degli atteggiamenti valutativi, che divengono sempre più autonomi e personali.

Parallelamente a quello sociale si sviluppa anche la vita morale, intesa come la consapevolezza della necessità di tenere presenti, specie quando hanno un rifletto diretto o indiretto sugli altri, certe indicazioni sul modo di compiere una determinata scelta, che molto spesso rappresenta una sintesi fra i propri bisogni e tendenze e le norme apprese durante la crescita. Se non ci fosse una situazione di conflitto non ci sarebbe neppure la necessità di ricorrere a norme morali fondate sui giudizi di valore, dato che l’azione avrebbe luogo in modo immediato. Piaget distingue una morale teoretica, cioè l’insieme di conoscenze e convinzioni che si nono venute organizzando e differenziando in seguito alle esperienze che l’individuo ha compiuto e alle norme che gli sono state trasmesse dal proprio ambiente, da un comportamento morale concreto e che riguarda le decisioni che l’individuo prende di fatto nelle singole circostanze. Questi due piani di moralità non sempre sono coordinati nella stessa persona, presentando sconcordanze anche notevoli quando certe nozioni che sono presenti in quanto apprese, non guidano il comportamento concreto e fra di esse appare una certa sfasatura.

Il bambino compie molto precocemente e con grande frequenza l’esperienza di comportamenti che si svolgono secondo certi ritmi e questa regolarità non è soltanto qualcosa di vissuto ma ad esse si accompagna il senso che nello sviluppo di tali comportamenti debba essere rispettato un certo ordine, debba essere riprodotta una struttura entro la quale ogni elemento ha un suo posto ben determinato. Sarà capitato nella vostra esperienza che raccontando ad un bambino una storia che gli avete già narrato modifichiate un passaggio o ne trascuriate un elemento. Normalmente il bambino interverrà correggendo o completando la narrazione nel punto in cui essa si discosta dallo schema noto, in quanto come conseguenza del pensiero sincretico del bambino (preminenza dei dati percettivi su quelli rappresentativi, che rappresenta l’essenza del realismo infantile) ogni elemento è collegato e fuso con gli altri che anche un piccolo cambiamento modifica la situazione nel suo insieme e la rende diversa e nuova. La graduale acquisizione di quell’insieme di nozioni e convinzioni che formano la morale teoretica del bambino, nozioni che gli adulti cercano di sviluppare in lui, rappresenta per lungo tempo una soluzione di compromesso fra ciò che costituisce il contenuto dell’insegnamento dell’adulto e certe tendenze presenti nel bambino, come appunto la tendenza al realismo, all’animismo o all’egocentrismo del proprio pensiero. Va sottolineato che l’atteggiamento degli adulti nei confronti del bambino è diverso da quello che assumono nei riguardi di altre nozioni che non riguardano la moralità (per es. quelle logiche) e cominciano a disciplinare la condotta del bambino in maniera precoce.

Fino all’età dei 6/7 anni, quando si ha il passaggio dal pensiero preoperatorio ed irreversibile al pensiero operatorio e reversibile, quando si ha il sostanziale superamento dell’egocentrismo tipico delle fasi precedenti, il bambino non è in grado di comprendere il significato profondo di una norma ed essa avrà per esso una comprensione puramente esteriore, associata al divieto imposto dagli adulti, senza che abbia un significato in se stessa. Dopo questa età l’adulto cessa di essere l’unico riferimento per il bambino ed essi divengono capaci di collocarsi dal punto di vista dei compagni e di stabilire dei rapporti di collaborazione con loro, ottenendo nel rapporto con essi un tipo di sicurezza diverso da quello che trovano nel rapporto di dipendenza dall’adulto. Se nell’età precedente si poteva assistere a dei processi di identificazione con il modello degli adulti, che portava il bambino a imitarne il comportamento e a fare propri certi atteggiamenti o modi di vedere dell’adulto, da questa età in poi tali modelli vengono progressivamente interiorizzati e cominciano a regolare il comportamento del bambino anche quando l’adulto e fisicamente assente, divenendo delle norme che vengono fatte proprie e che dall’interno ne regolano il funzionamento morale.

Si è prima detto che fra le nozioni morali verbalmente espresse e il comportamento morale concreto ci possa essere una certa discrasia, per cui il bambino può condannare certe azioni, ma poi compierle di fatto. Le norme morali che il bambino ha interiorizzato e che costituiscono il suo Super-Io sono qualcosa di più di un insieme di conoscenze su ciò che è bene e ciò che è male. Esse sono anche le sorgenti di vere e proprie forze psichiche e si manifestano alla coscienza nella forma di un sentimento di dovere (che sospinge a compiere certe azioni anche in assenza di ogni controllo esterno), oppure di sentimenti di ansia o di colpa (che trattengono dal compiere certe azioni o sospingono a temperare le conseguenze di azioni già compiute). La discordanza fra moralità teoretica e comportamento morale pratico è minore se è avvenuta una buona identificazione con un modello positivo di adulto, che ha condotto all’interiorizzazione di un insieme coerente di norme, che sono in accordo con quelle generalmente accettate dall’ambiente.

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